Ad aspettare e
procrastinare si finisce con l’essere stritolati dalle necessità
contingenti: il Brescia in serie A costringerà forse ad accettare,
per lo stadio di Brescia, soluzioni tampone, che soddisferanno le
esigenze di “Brescia Calcio s.p.a.” e dei suoi sostenitori (che a
quella società portano introiti ) ma che fanno perdere alla città
di Brescia, ovvero alla comunità di tutti i suoi cittadini,
l’occasione di dotarsi di una struttura non solo significativa per
lo sport, ma unica nel sistema urbano e potenzialmente identitaria
per l’ immagine presente e futura della città.
Lo stadio "Rigamonti" di Brescia - Mompiano |
Negli ultimi decenni
in Europa e nel mondo la costruzione o la ristrutturazione delle
arene sportive, stadi per il calcio o per altre discipline si sono
sempre caratterizzati per essere complessi edilizi che integrano
molteplici strutture sportive, edifici destinati all’ospitalità
(alberghi, ristoranti), all’intrattenimento, parchi, giardini e
luoghi pubblici per tutti.
SI può considerare
in proposito, come caso esemplare, l’Allianz Stadium di Monaco,
costruito nel 2000 su progetto di Herzog e De Meuron, ma, citando
realtà più simili a quella bresciana, si possono citare progetti
quali quello per lo stadio di Dundee, in Scozia, per lo stadio di
York in Inghilterra, per quello di Bordeaux e per quello di Montpellier, in Francia.
Lo stadio di Boredeaux (2015) - progetto Herzog e De Meuron |
Lo stesso progetto
per lo stadio definitivo di Cagliari (che il presidente del Brescia
Calcio dovrebbe ben conoscere), sorgendo sul sito del preesistente
Sant’Elia mira a ridefinire , con un insieme sistematico di opere,
il rapporto della città con lo sport. Il caso di Cagliari è per
molti versi paragonabile a quello del Rigamonti: anche lì si è
dovuto provvedere in fretta e furia a realizzare una struttura
provvisoria in attesa di quella che sarà la definitiva Sardegna
Arena, che vedrà la luce forse nel 2022.
Insomma, la
costruzione o la ristrutturazione di uno stadio è stata vissuta
ovunque come occasione per ridisegnare un parte importante e
significativa della città, senza cedere, a necessità contingenti ma
con sguardo lungimirante e spesso condiviso dai molteplici attori
sociali, consapevoli delle opportunità che l’iniziativa può
favorire, oltre che dei vantaggi che procura ai suoi promotori.
Il primo e più
evidente dei contributi che la costruzione di un nuovo stadio
produce è l’impatto sul paesaggio: modifica significativamente la
percezione del luogo, una percezione che si riverbera non solo sugli
immediati dintorni della costruzione, ma che, per effetto
dell’impatto causato dalle infrastrutture che servono per
accedervi, e per i movimenti dei visitatori nel territorio, ha
effetti sulla più ampia struttura territoriale.
Altri contributi
derivano dalle destinazioni specifiche della costruzione: se
monofunzionale, ovvero destinata ad ospitare eminentemente eventi
calcistici, sarà un corpo che si anima e vive solo in occasione
delle partite e in quelle occasioni anche i parcheggi, le costruzioni
di servizio, le strade di accesso, saranno vissute, rimanendo deserti
di cemento negli altri giorni.
Effetti si hanno
anche per la eventuale impermeabilità dei sito: un blocco
monofunzionale, che richiede strutture che ne garantiscano la
sicurezza e l’accessibilità controllata in tutte le sue parti, si
configura come un vuoto urbano, un luogo esclusivo e mai inclusivo.
Uno stadio moderno
deve essere oltre che permeabile alla città e inclusivo, essendo
occasione di formazione di luoghi pubblici, anche sostenibile
ovvero struttura che definisca con chiarezza e ottimizzi la sua
interdipendenza con le risorse naturali, sia nella costruzione sia
nella gestione, minimizzando o annullando l’impiego di risorse non
rinnovabili (esempi di strutture per lo sport a impatto zero, ce ne
sono, grazie all’impiego massivo di fonti energetiche rinnovabili -
energia solare o geotermica).
Dunque lo stadio di
Brescia, così come oggi si presenta quello di Mompiano, quand’anche
fosse ristrutturato in modo minimale in sito, è adeguato ai tempi
che viviamo? Risponde all’esigenza di costruire luoghi inclusivi,
permeabili, che contribuiscono positivamente alla costruzione (o
rigenerazione) del paesaggio urbano, che minimizzano consumo di suolo
e impiego di risorse non rinnovabili?
Probabilmente no,
salvo che l’intero sito dello stadio non sia ristrutturato, con un
processo che veda tra i suoi protagonisti la comunità che lo ospita,
attraverso i suoi rappresentanti eletti, ma anche attraverso forme di
coinvolgimento della cittadinanza, adeguatamente formata e informata
(magari attraverso procedure e strutture di cui la Municipalità
dispone, come l’Urban Center e i Consigli di Quartiere).
Il progettista
dovrebbe essere chiamato a confrontarsi con la cittadinanza,
rispondendo a vincoli assegnati dalla comunità (e non solo a vincoli
di sostenibilità economica), rispondendo ad un bando che sia frutto
di un confronto oltre che con la cittadinanza anche con la comunità
scientifica e culturale più evoluta, confronto che può svilupparsi
anche attraverso i media, grazie ai contribuiti che questi offrono
all’approfondimento e alla divulgazione dei contenuti.
Infine la
localizzazione: tramontata definitivamente l’ipotesi di sacrificare
suolo naturale (o da rinaturalizzare) nella zona del Parco delle
Cave, si è ventilata la possibilità, proposta, tra gli altri da
Valerio Vitali sulle pagine del Corriere, di approfittare
dell’opportunità data da questa iniziativa per risanare l’area
della Caffaro inquinata da PCB.
Se fosse
economicamente sostenibile, e non comportasse consumo di suolo
naturale, questo potrebbe essere un ulteriore contributo alla
rigenerazione di un’area, che costituisce un vulnus per l’intera
città.
È comunque
evidente che a Mompiano, o presso Via Milano, o in altra
localizzazione, lo stadio dovrà sorgere su un’area in massima
parte già urbanizzata, senza alcun consumo di verde, ma,
possibilmente, recuperando verde urbano da suoli compromessi. Una
struttura per Brescia e non solo per Brescia Calcio.