22 maggio 2016

La Scuola di Atene di Raffaello, un aquestione di dettagli

Raffaello: un artista su cui non mi sono mai pienamente sintonizzato per quell'apparente assenza di dubbi, di tensioni, per quell'apparire un artista di corte, pronto a tradurre in immagini i contenuti proposti da altri; ma  sbagliavo.
Mi è capitato di riguardare con attenzione  la "Scuola di Atene" di Raffaello (cercavo un'immagine simbolica per un percorso di progettazione partecipata a cui stiamo lavorando).
Osservo, sempre più stupito, figura per figura, ornamento per ornamento, il grandioso affresco, in una selva di piedi in gran parte nudi che danno ognuno un proprio equilibrio alla persona, in una successione di  corpi in pose tutte diverse e tutti mossi da pensieri, curiosità, tensioni interne.
Individuo un gruppo, a sinistra, che comprende bambini, giovani, adulti, anziani.
La composizione, nella dinamica  delle linee e delle masse del gruppo converge su Pitagora, ai cui piedi su una lavagna, sono  rappresentati i rapporti armonici nella versione di Zarlino, suggellati dall'affermazione della tetraktys, come simbolo della verità dei numeri.
E dietro Pitagora sono altrettanto impegnati in speculazioni terrene Epicuro e Zenone, l'altra faccia della verità.
E' un gruppo che comprende personaggi poco ortodossi: Ipazia (donna) e Averroè (arabo), conquistano un posto di rilievo nell'affresco che celebra la ricerca razionale del vero.
Mentre tutti sono intenti allo studio, al dialogo, alla ricerca, i soli che ci guardano, che osservano le nostre reazioni, che ci interrogano, oltre a Ipazia sono i bambini: non sono lì per apprendere, ma posseggono già la verità.
Raffaello non è solo un fine illustratore di programmi politici e retorici scritti da altri, non dipinge sotto dettatura:
la chiarezza con cui rappresenta le idee, anzi "l'idea", la compassione con cui anima i corpi, con cui fa vibrare i colori è maestria assoluta e senza tempo.