L'azione progettata consiste nel prendere un oggetto tipicamente quotidiano e domestico, una poltrona, e metterlo in strada, metterlo in viaggio lungo la via Milano, chiedendo la cooperazione dei passanti. La poltrona diventa parte della strada, diventa oggetto pubblico, agito dal pubblico.
La poltrona nel suo viaggio lungo la via Milano è in una sola volta parte della strada, luogo pubblico, piazza mobile e contemporaneamente è oggetto domestico è casa.
Piazza
mobile: Diario di viaggio
Ho
un aspetto normale, né troppo bella, ne troppo brutta, né troppo
giovane, né troppo vecchia, né
troppo
fragile né troppo forte.
Ho
un aspetto normale, quotidiano, sono beige come il mio abbigliamento.
La
poltrona è bianco/beige pure lei, anche lei è normale. E' una
normale poltrona.
Io
e la poltrona siamo ferme al semaforo per attraversare Piazza
Garibaldi.
E'
sabato mattina, sono le 10,30, in strada c'è parecchia gente.
Rosso-verde....
Rosso-verde...
Comincio
“
Mi scusi, mi può
aiutare a portare in là questa poltrona?”
Ne
come né perchè, lui che veniva in senso contrario capisce, forse
dai miei gesti, prende un lato
della
poltrona, io dall'altro e attraversiamo.
Ringrazio
per l'aiuto, spiego che questa poltrona è come una piazza, dove le
persone si incontrano e
si
aiutano. Chiedo “ Cosa metterebbe lei in una piazza?”.
Mi
guarda, capisco che non capisce, è straniero. “ Aspetta ti faccio
vedere delle fotografie... è come
un
catalogo per delle idee..”. Lui guarda, sorride e dice. “
Capisce!..Capisce!”. Gli do dei
pennarelli.
Sceglie un verde. Disegna un uccello.
Non
potevo crederci. Pensavo che nessuno avrebbe avuto il coraggio di
disegnare su una poltrona
bianca
in mezzo alla strada.
Il
signore lì vicino sta guardando la scena e ascolta. E' incuriosito.
Lo invito a prendere parte. Lui è
di
Brescia, lo dice il suo accento. Ha già capito di cosa stiamo
parlando. E' seccato perchè nessuno
rispetta
le aiuole. “ Schiacciano l'erba, ci fanno sopra i pic-nic, ci
portano i cani a sporcare!!” …
“Si,
ci vuole del filo spinato.” dice. Lo disegna sulla poltrona.
Cerco
di discuterne, insisto un po' sul fatto che il verde è di tutti,
come ogni spazio pubblico. Lui mi
risponde
“ Sì, ma chi lo paga? Lo paghiamo noi!!” e se ne va.
Resto
perplessa, non so se per le sue parole o perchè effettivamente,
contro ogni mia aspettativa,
anche
lui ha preso il pennarello e ha disegnato, del filo spinato, sulla
mia poltrona.
Attenta,
non è più la “tua” poltrona.
Con
l'aiuto dei passanti, la poltrona caracolla lungo la via Milano.
Quasi
nessuno si sottrae alla mia richiesta di aiuto, ma qualcuno, forse
per la fretta, forse a disagio,
non
intende disegnare.
Siamo
in prossimità di un caffè, di un grande negozio di telerie per la
casa, c'è anche un barbiere per
uomo.
Qui
aumenta la presenza di figure femminili.
Le
signore che incontro si dimostrano interessate al progetto, meno a
spostare al poltrona.
Per
loro in una piazza ci vogliono alberi, alberi e tanti fiori. L'acqua
meglio di no che attira le
zanzare.
Inviate
a disegnare si scherniscono “.. Oh no, non sono capace”, prendono
il pennarello e
disegnano,
disegnano alberi e fiori. Si prendono lo spazio sulla seduta della
poltrona. Non temono il
foglio
bianco. Arriva una giovane donna. L'aggancio. La ragazza ascolta
seria, non dice una parola.
Prende
qualche pennarello e sprofonda con la testa nella poltrona. Comincia
a disegnare con cura
un
bel fiore viola. “ C'è un verde più chiaro?”.
Passa
una giovane donna con un passeggino. E' indiana: E' bella lei è
bello il bambino. Occhi scuri
e
dolci, bel sorriso. Non vuole.
Nessuna
mi ha chiesto perchè lo fai?, perchè perdi il tuo tempo, perchè
mi fai perdere il mio' Tutti
mi
hanno detto: “ Grazie”.
Le
donne , finito di parlare, finito di disegnare, sono andate via come
distratte da un pensiero. Come
se
l'incontro avesse attivato un pensiero che giaceva da qualche parte
in fondo alla mente, come un
ricordo..
Ma non saprei dire di che.
Avanziamo.
Sono
ferma.
Passa
un signore, direi bresciano dall'aspetto. Gli sguardi si incrociano.
Non è giovanissimo.
Guarda
la poltrona. Gli dico “ E' una piazza”. “ Lei cosa ci
metterebbe in una piazza?”.
“ Ma
non ha niente di meglio da fare lei oggi?” risponde.
“
No, no, va bene
così. Grazie lo stesso” gli dico.
Avanziamo
Incontro
in sequenza tre donne mature. Direi dei paesi dell'Est.
Le
donne dell'est si ritraggono al contatto. Lo sguardo corre alla mia
figura, si ferma un attimo sulla
poltrona.
Due
su tre hanno mal di schiena e non possono alzare pesi. La terza è di
fretta.
Ti
fanno capire che la tua richiesta ha qualcosa di sconveniente, di
indecoroso, Che le cose non
vanno
fatte così. Per lo meno lei si sarebbe organizzata diversamente.
Tre
su tre se ne vanno, scuotendo la testa e lasciandoti lì, con un
breve saluto borbottato.
Gli
aiutanti si sono distratti, sono troppo allo scoperto, troppo vicini.
Chiedo ad un signore dalla
pelle
olivastra di aiutarmi a spostare la poltrona.
Lui
vede gli altri e mi dice “ Con quanti siete qui, proprio io ti devo
aiutare?”
Gli
do ragione: Mi scuso. “Buongiorno”.
Avanziamo
da sole io e la poltrona. Non so chi porti l'altra.
Lei
è sola alla fermata dell'autobus deserta. Arrivo . Siamo davanti al
cimitero. Il volto è serio, lo
sguardo
ride. …. silenzio........ Le dico “ E' una piazza, la sposto con
l'aiuto delle persone che
incontro.”....
Silenzio...” Cosa ci metterebbe in una piazza?” Le offro una
manciata di pennarelli.
Lei
si alza. Sceglie un pennarello rosso, disegna un cuore rosso sul
bracciolo e dentro ci scrive DIO.
Mi
chiede “ E tu cosa vorresti in una Piazza?”. Rispondo “ tanti
amici”. Lei prende un pennarello
arancio.
Disegna tante figurine che si tengono per mano e mi dice “ Per te”
e me lo scrive sul
bracciolo.
Poi
mi guarda. Mi dice “ Sono innamorata.... Tra poco mi sposo... Lui
lavora”.
Siamo
all'altezza del cimitero. Ore 13 circa. Non passa nessuno da un po'.
Arrivano
due signori, sono stranieri, chiedo aiuto. Mi spostano, prendono la
poltrona e partono di
corsa.
Gli
sgambetto dietro, mi cade la borsa, sono senza fiato.. ma cerco lo
stesso di spiegare.
Loro
chiedono “ E' di Ikea vero? La poltrona”. E io, “si ma l'ho
fatta rivestire perchè adesso è una
piazza”.
Non ascoltano e io non respiro. Uno dice, “ Dai che andiamo. Io
faccio il trasportatore da
Ikea”.
Dico Ok, va bene, però aspetta, vorrei farti vedere delle foto per
una idea di piazza. Fermati
davanti
a questo cancello. Lui “ Dai apri, te la portiamo su” io “ su
dove?” Lui “ In casa!”....
Un
saluto, una stretta di mano e se ne vanno. Non mi hanno fatto un
disegno.
Avanziamo,
un po' mi aiutano, un po' mi aiuto.
Di
fronte all'Esselunga, c'è un banchetto: Raccolgono fondi: metà per
i ragazzi arrampicati sulla gru, metà per i
disoccupati
dell'Ideal Standard, in cambio un sacchetto di arance bio.
L'avvicinarsi
della poltrona crea una piccola perplessità. Io spiego il mio.. loro
spiegano il loro.
Le
tre ragazze hanno tante idee, già chiare, addirittura un progetto
per una biblioteca autogestita con
il
tetto coperto di erba.
Arriva
un ragazzo vestito di un giallo fluò ed un bel sorriso. Non so chi
sia più improbabile, se lui o
io.
Mi dice aspetta, faccio una cosa e torno. Effettivamente arriva,
andiamo un po' più in là, lui ride,
disegna,
gli piace l'idea.
E'
scuro di pelle, la faccia molto seria, cammina svelto. Gli chiedo
aiuto. Lui non una parola.
Collabora.
La
sensazione è che se i nostri connazionali leggono nella situazione
improbabile una “ messa in
scena”
sospettando una piccola macchinazione di tipo pubblicitario, di tipo
promozionale ( “cosa
vuole
vendermi”, “cosa vuole prendere da me”), lo straniero ti vede
nella tua contingente necessità,
forse
pensa che non sei stata molto furba a metterti in questo guaio. Però
ora il guaio c'è e lui ti è
inciampato
dentro. Capisci che pensa, dai muoviti, risolviamo questa situazione,
non è poi così
grave.
Lui
“ Dove la devi portare?”
Io
“ In fondo alla Via”
Lui
guarda verso l'orizzonte, nello sguardo un punto di perplessità?
Disapprovazione ?
La
sua mano prende il bracciolo, solleva la poltrona e se la carica su
una spalla.
Lo
fermo, gli dico, “ No aspetta... Insieme” e poi, “no, non fino
in fondo, solo un pezzetto di
strada..
poi troverò qualcun altro”. Grazie.
Il
ragazzo pakistano, inizialmente non vuole disegnare. Gli chiedo di
scrivere qualcosa nella sua
lingua.
Lui dice che è tanto tempo, otto anni, che vive in Italia e non si
ricorda più come si scrive
nella
sua lingua. Ha in mano un pennarello , inizia a disegnare qualcosa,
parla a voce bassa. Mi
avvicino
….”
Sai, quando sono qui, sento al telegiornale che nel mio paese ci sono
tanti problemi, che ci
sono
gli attentati... quando torno a casa... non vedo quelle cose , forse
perchè torno alla mia
famiglia
, forse sono distratto dagli amici. Forse quelle cose che dicono al
telegiornale succedono
nelle
grandi città.. forse da un'altra parte..”
Sono
in due, sono egiziani, scherzano tra di loro. Dal catalogo guardano
le foto, in particolare quelle
degli
animali. C'è un riccio. Chiedo “ Come si dice riccio in egiziano”
Me lo dicono, non riesco a
ripetere
e subito dimentico.
Loro
ascoltano i miei motivi, lo sguardo fisso sulla poltrona.
Ridono,
forse è imbarazzo... poi uno di loro prende un pennarello, fa segni
ampi sul retro, sullo
schienale
della poltrona e comincia una scritta: Il suo sorriso è un po' un
ghigno. Vedo che inizia a
scrivere
con “ VIVA LA..” Temo il peggio. Finisce. “ VIVA LA PACIA”.
Mi
guarda e dice “ Ci vuole la pace in una piazza”.
La
strada avanza, il pomeriggio pure. La strada si fa stretta. La
poltrona ingombra quasi tutto il
marciapiede.
Loro sono in tre. Tre uomini adulti. Sono egiziani. Li ho
praticamente abbordati. Mi
attraversa
un attimo di preoccupazione. Starò generando un equivoco? Sono
troppo disinvolta?
Spiego,
mostro il catalogo di idee. Mi siedo sulla poltrona. Dico che da lì
cambia il punto di vista
sulla
strada. La strada è diversa. Faccio sedere uno di loro. Ridono e
scherzano tra di loro, ma
sempre
in italiano. Uno di loro si fa più serio, prende un pennarello e
disegna un ramo di olivo e
dice
“pace... In una piazza ci vuole pace”.
Parla
di sua moglie e di Sara e Mohamed i suoi figli... “ Ci vogliono
bambini, tantissimi bambini.
I
bambini sono l'unica cosa pulita” e li disegna.
Sto
trafficando con la poltrona, per avvicinarmi all'attraversamento
pedonale con via Manara.
Lui
è
al
semaforo. Mi guarda. “ Serve aiuto?” “ Si .Grazie”.
Ricomincio la mia storia. Lui è molto bello.
Si
chiama Jesus è venezuelano. Cosa vuoi disegnare gli chiedo. Lui mi
risponde “ Sono innamorato.
Disegnerò
un cuore” e lo fa.
Mi
viene incontro. E' un ragazzo: Avrà diciotto-ventaanni. Si chiama
Rochi è indiano. “ Una
mano?”
“Si grazie”. Spiego, lui disegna. Io sono stanca. Lui no. Dice :
“andiamo?”
Ci
viene incontro una ragazza col piumino rosso. Ci fermiamo.
Spieghiamo, lei disegna e sposta un
po'
la poltrona con Rochi.
Rochi
tiene duro. E dice andiamo?
La
poltrona non è molto pesante ma molto ingombrante, senza punti
presa, mi scivola, sono stanca.
Le
mani, i polsi, le dita mi fanno molto male. Mi lamento.
Sono
ancora con Rochi. Incrociamo altre persone. Altri giovani uomini, non
si salutano tra di loro.
Sembrano
estranei. Siamo all'altezza del fatidico civico 140.
Quando
mi lamento, Rochi parla ad alta voce, nella sua lingua, senza
girarsi. Alle mie spalle, arriva
un
altro ragazzo indiano. Camminava dietro di noi, non me ne ero
accorta. Mi sposta deciso,
prende
la poltrona, partono.
Rochi
mi chiede “ Dove andiamo? In fondo a che cosa?”
Non
aveva capito che andavamo in fondo alla via e basta.
Che
eravamo quasi arrivati.
La
sua disponibilità era molto più grande.
piazza mobile.- il video della performance
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