15 settembre 2017

Piazza mobile per Via Milano


L'azione progettata consiste nel prendere un oggetto tipicamente quotidiano e domestico, una poltrona, e metterlo in strada, metterlo in viaggio lungo la via Milano, chiedendo la cooperazione dei passanti. La poltrona diventa parte della strada, diventa oggetto pubblico, agito dal pubblico. 
La poltrona nel suo viaggio lungo la via Milano è in una sola volta parte della strada, luogo pubblico, piazza mobile e contemporaneamente è oggetto domestico è casa. 


Piazza mobile: Diario di viaggio
Ho un aspetto normale, né troppo bella, ne troppo brutta, né troppo giovane, né troppo vecchia, né
troppo fragile né troppo forte.
Ho un aspetto normale, quotidiano, sono beige come il mio abbigliamento.
La poltrona è bianco/beige pure lei, anche lei è normale. E' una normale poltrona.
Io e la poltrona siamo ferme al semaforo per attraversare Piazza Garibaldi.
E' sabato mattina, sono le 10,30, in strada c'è parecchia gente.
Rosso-verde.... Rosso-verde...
Comincio
Mi scusi, mi può aiutare a portare in là questa poltrona?”
Ne come né perchè, lui che veniva in senso contrario capisce, forse dai miei gesti, prende un lato
della poltrona, io dall'altro e attraversiamo.
Ringrazio per l'aiuto, spiego che questa poltrona è come una piazza, dove le persone si incontrano e
si aiutano. Chiedo “ Cosa metterebbe lei in una piazza?”.
Mi guarda, capisco che non capisce, è straniero. “ Aspetta ti faccio vedere delle fotografie... è come
un catalogo per delle idee..”. Lui guarda, sorride e dice. “ Capisce!..Capisce!”. Gli do dei
pennarelli. Sceglie un verde. Disegna un uccello.
Non potevo crederci. Pensavo che nessuno avrebbe avuto il coraggio di disegnare su una poltrona
bianca in mezzo alla strada.
Il signore lì vicino sta guardando la scena e ascolta. E' incuriosito. Lo invito a prendere parte. Lui è
di Brescia, lo dice il suo accento. Ha già capito di cosa stiamo parlando. E' seccato perchè nessuno
rispetta le aiuole. “ Schiacciano l'erba, ci fanno sopra i pic-nic, ci portano i cani a sporcare!!” …
Si, ci vuole del filo spinato.” dice. Lo disegna sulla poltrona.
Cerco di discuterne, insisto un po' sul fatto che il verde è di tutti, come ogni spazio pubblico. Lui mi
risponde “ Sì, ma chi lo paga? Lo paghiamo noi!!” e se ne va.
Resto perplessa, non so se per le sue parole o perchè effettivamente, contro ogni mia aspettativa,
anche lui ha preso il pennarello e ha disegnato, del filo spinato, sulla mia poltrona.

Attenta, non è più la “tua” poltrona.

Con l'aiuto dei passanti, la poltrona caracolla lungo la via Milano.
Quasi nessuno si sottrae alla mia richiesta di aiuto, ma qualcuno, forse per la fretta, forse a disagio,
non intende disegnare.
Siamo in prossimità di un caffè, di un grande negozio di telerie per la casa, c'è anche un barbiere per
uomo.
Qui aumenta la presenza di figure femminili.
Le signore che incontro si dimostrano interessate al progetto, meno a spostare al poltrona.
Per loro in una piazza ci vogliono alberi, alberi e tanti fiori. L'acqua meglio di no che attira le
zanzare.
Inviate a disegnare si scherniscono “.. Oh no, non sono capace”, prendono il pennarello e
disegnano, disegnano alberi e fiori. Si prendono lo spazio sulla seduta della poltrona. Non temono il
foglio bianco. Arriva una giovane donna. L'aggancio. La ragazza ascolta seria, non dice una parola.
Prende qualche pennarello e sprofonda con la testa nella poltrona. Comincia a disegnare con cura
un bel fiore viola. “ C'è un verde più chiaro?”.
Passa una giovane donna con un passeggino. E' indiana: E' bella lei è bello il bambino. Occhi scuri
e dolci, bel sorriso. Non vuole.
Nessuna mi ha chiesto perchè lo fai?, perchè perdi il tuo tempo, perchè mi fai perdere il mio' Tutti
mi hanno detto: “ Grazie”.
Le donne , finito di parlare, finito di disegnare, sono andate via come distratte da un pensiero. Come
se l'incontro avesse attivato un pensiero che giaceva da qualche parte in fondo alla mente, come un
ricordo.. Ma non saprei dire di che.
Avanziamo.
Sono ferma.
Passa un signore, direi bresciano dall'aspetto. Gli sguardi si incrociano. Non è giovanissimo.
Guarda la poltrona. Gli dico “ E' una piazza”. “ Lei cosa ci metterebbe in una piazza?”.
Ma non ha niente di meglio da fare lei oggi?” risponde.
No, no, va bene così. Grazie lo stesso” gli dico.
Avanziamo
Incontro in sequenza tre donne mature. Direi dei paesi dell'Est.
Le donne dell'est si ritraggono al contatto. Lo sguardo corre alla mia figura, si ferma un attimo sulla
poltrona.
Due su tre hanno mal di schiena e non possono alzare pesi. La terza è di fretta.
Ti fanno capire che la tua richiesta ha qualcosa di sconveniente, di indecoroso, Che le cose non
vanno fatte così. Per lo meno lei si sarebbe organizzata diversamente.
Tre su tre se ne vanno, scuotendo la testa e lasciandoti lì, con un breve saluto borbottato.
Gli aiutanti si sono distratti, sono troppo allo scoperto, troppo vicini. Chiedo ad un signore dalla
pelle olivastra di aiutarmi a spostare la poltrona.
Lui vede gli altri e mi dice “ Con quanti siete qui, proprio io ti devo aiutare?”
Gli do ragione: Mi scuso. “Buongiorno”.
Avanziamo da sole io e la poltrona. Non so chi porti l'altra.
Lei è sola alla fermata dell'autobus deserta. Arrivo . Siamo davanti al cimitero. Il volto è serio, lo
sguardo ride. …. silenzio........ Le dico “ E' una piazza, la sposto con l'aiuto delle persone che
incontro.”.... Silenzio...” Cosa ci metterebbe in una piazza?” Le offro una manciata di pennarelli.
Lei si alza. Sceglie un pennarello rosso, disegna un cuore rosso sul bracciolo e dentro ci scrive DIO.
Mi chiede “ E tu cosa vorresti in una Piazza?”. Rispondo “ tanti amici”. Lei prende un pennarello
arancio. Disegna tante figurine che si tengono per mano e mi dice “ Per te” e me lo scrive sul
bracciolo.
Poi mi guarda. Mi dice “ Sono innamorata.... Tra poco mi sposo... Lui lavora”.
Siamo all'altezza del cimitero. Ore 13 circa. Non passa nessuno da un po'.
Arrivano due signori, sono stranieri, chiedo aiuto. Mi spostano, prendono la poltrona e partono di
corsa.
Gli sgambetto dietro, mi cade la borsa, sono senza fiato.. ma cerco lo stesso di spiegare.
Loro chiedono “ E' di Ikea vero? La poltrona”. E io, “si ma l'ho fatta rivestire perchè adesso è una
piazza”. Non ascoltano e io non respiro. Uno dice, “ Dai che andiamo. Io faccio il trasportatore da Ikea”. Dico Ok, va bene, però aspetta, vorrei farti vedere delle foto per una idea di piazza. Fermati
davanti a questo cancello. Lui “ Dai apri, te la portiamo su” io “ su dove?” Lui “ In casa!”....
Un saluto, una stretta di mano e se ne vanno. Non mi hanno fatto un disegno.

Avanziamo, un po' mi aiutano, un po' mi aiuto.
Di fronte all'Esselunga, c'è un banchetto: Raccolgono fondi: metà per i ragazzi arrampicati sulla gru, metà per i disoccupati dell'Ideal Standard, in cambio un sacchetto di arance bio.
L'avvicinarsi della poltrona crea una piccola perplessità. Io spiego il mio.. loro spiegano il loro.
Le tre ragazze hanno tante idee, già chiare, addirittura un progetto per una biblioteca autogestita con
il tetto coperto di erba.

Arriva un ragazzo vestito di un giallo fluò ed un bel sorriso. Non so chi sia più improbabile, se lui o
io. Mi dice aspetta, faccio una cosa e torno. Effettivamente arriva, andiamo un po' più in là, lui ride,
disegna, gli piace l'idea.

E' scuro di pelle, la faccia molto seria, cammina svelto. Gli chiedo aiuto. Lui non una parola.
Collabora.
La sensazione è che se i nostri connazionali leggono nella situazione improbabile una “ messa in
scena” sospettando una piccola macchinazione di tipo pubblicitario, di tipo promozionale ( “cosa
vuole vendermi”, “cosa vuole prendere da me”), lo straniero ti vede nella tua contingente necessità,
forse pensa che non sei stata molto furba a metterti in questo guaio. Però ora il guaio c'è e lui ti è
inciampato dentro. Capisci che pensa, dai muoviti, risolviamo questa situazione, non è poi così
grave.
Lui “ Dove la devi portare?”
Io “ In fondo alla Via”
Lui guarda verso l'orizzonte, nello sguardo un punto di perplessità? Disapprovazione ?
La sua mano prende il bracciolo, solleva la poltrona e se la carica su una spalla.
Lo fermo, gli dico, “ No aspetta... Insieme” e poi, “no, non fino in fondo, solo un pezzetto di
strada.. poi troverò qualcun altro”. Grazie.
Il ragazzo pakistano, inizialmente non vuole disegnare. Gli chiedo di scrivere qualcosa nella sua
lingua. Lui dice che è tanto tempo, otto anni, che vive in Italia e non si ricorda più come si scrive
nella sua lingua. Ha in mano un pennarello , inizia a disegnare qualcosa, parla a voce bassa. Mi
avvicino
.” Sai, quando sono qui, sento al telegiornale che nel mio paese ci sono tanti problemi, che ci
sono gli attentati... quando torno a casa... non vedo quelle cose , forse perchè torno alla mia
famiglia , forse sono distratto dagli amici. Forse quelle cose che dicono al telegiornale succedono
nelle grandi città.. forse da un'altra parte..”
Sono in due, sono egiziani, scherzano tra di loro. Dal catalogo guardano le foto, in particolare quelle
degli animali. C'è un riccio. Chiedo “ Come si dice riccio in egiziano” Me lo dicono, non riesco a
ripetere e subito dimentico.
Loro ascoltano i miei motivi, lo sguardo fisso sulla poltrona.
Ridono, forse è imbarazzo... poi uno di loro prende un pennarello, fa segni ampi sul retro, sullo
schienale della poltrona e comincia una scritta: Il suo sorriso è un po' un ghigno. Vedo che inizia a
scrivere con “ VIVA LA..” Temo il peggio. Finisce. “ VIVA LA PACIA”.
Mi guarda e dice “ Ci vuole la pace in una piazza”.

La strada avanza, il pomeriggio pure. La strada si fa stretta. La poltrona ingombra quasi tutto il
marciapiede. Loro sono in tre. Tre uomini adulti. Sono egiziani. Li ho praticamente abbordati. Mi
attraversa un attimo di preoccupazione. Starò generando un equivoco? Sono troppo disinvolta?
Spiego, mostro il catalogo di idee. Mi siedo sulla poltrona. Dico che da lì cambia il punto di vista
sulla strada. La strada è diversa. Faccio sedere uno di loro. Ridono e scherzano tra di loro, ma
sempre in italiano. Uno di loro si fa più serio, prende un pennarello e disegna un ramo di olivo e
dice “pace... In una piazza ci vuole pace”.
Parla di sua moglie e di Sara e Mohamed i suoi figli... “ Ci vogliono bambini, tantissimi bambini.
I bambini sono l'unica cosa pulita” e li disegna.
Sto trafficando con la poltrona, per avvicinarmi all'attraversamento pedonale con via Manara.
Lui è al semaforo. Mi guarda. “ Serve aiuto?” “ Si .Grazie”. Ricomincio la mia storia. Lui è molto bello. Si chiama Jesus è venezuelano. Cosa vuoi disegnare gli chiedo. Lui mi risponde “ Sono innamorato. Disegnerò un cuore” e lo fa.

Mi viene incontro. E' un ragazzo: Avrà diciotto-ventaanni. Si chiama Rochi è indiano. “ Una
mano?” “Si grazie”. Spiego, lui disegna. Io sono stanca. Lui no. Dice : “andiamo?”
Ci viene incontro una ragazza col piumino rosso. Ci fermiamo. Spieghiamo, lei disegna e sposta un
po' la poltrona con Rochi.
Rochi tiene duro. E dice andiamo?
La poltrona non è molto pesante ma molto ingombrante, senza punti presa, mi scivola, sono stanca.
Le mani, i polsi, le dita mi fanno molto male. Mi lamento.
Sono ancora con Rochi. Incrociamo altre persone. Altri giovani uomini, non si salutano tra di loro.
Sembrano estranei. Siamo all'altezza del fatidico civico 140.
Quando mi lamento, Rochi parla ad alta voce, nella sua lingua, senza girarsi. Alle mie spalle, arriva
un altro ragazzo indiano. Camminava dietro di noi, non me ne ero accorta. Mi sposta deciso,
prende la poltrona, partono.
Rochi mi chiede “ Dove andiamo? In fondo a che cosa?”
Non aveva capito che andavamo in fondo alla via e basta.
Che eravamo quasi arrivati.
La sua disponibilità era molto più grande. piazza mobile.- il video della performance

25 agosto 2017

Tempi e luoghi dell'attività ludica

Forse nessuno vive una vita a più dimensioni come un bambino. L'esperienza ludica infatti,
indispensabile per la crescita e spesso dimenticata in età adulta, non è delimitabile in luoghi e tempi predeterminati, ma può assalire come esigenza imprescindibile in qualsiasi momento e luogo dell'esperienza quotidiana.
Perciò la città, se vuole rimanere vivibile ai bambini o, più in generale a quanti fanno dell'esercizio ludico un momento importante della propria esistenza, deve prevedere la possibilità che questo possa esservi esercitato con pienezza e sicurezza.
Purtroppo l'assunto che la città possa essere oggetto dell'esercizio ludico sembra cozzare con i processi evolutivi della società urbana.
I noti processi di ridefinizione di tempi e luoghi delle attività produttive, provocano infatti modificazioni anche nell'espletamento di attività legate alla non produzione: formazione, divertimento, attività ludica, riproduzione funzionale.
La logica di mercato, che interpreta l'essere umano come produttore/consumatore, ha interesse e tende a definire con esattezza e prevedibilità i tempi e i luoghi della non produzione alla stessa stregua con cui determina quelli della produzione.
Per questo motivo cerca di circoscrivere l'esercizio ludico producendc allestimenti e servizi(remunerabili) per il soddisfacimento delle esigenze legate al "tempo libero".

I luoghi destinati alla ricreazione e al divertimento non sono luoghi privi di fondamento, di aura, aperti a funzioni multiple e mutevoli, non luoghi, nella definizione di Auge ma luoghi specifici di produzione del tempo libero in cui si ricrea la dialettica produttore/consumatore necessaria allo sviluppo e al mantenimento dell'economia di mercato.
Questo fenomeno è evidente se si pensa ai parchi ricreativi tematici e acquatici o alle sale da gioco (fino alle moderne cattedrali del divertimento), ma coinvolge anche gli spazi urbani che tendono a separare in modo rigido le funzioni a cui sono preposti. Ciò avviene sia con la formazione di luoghi deputati al divertimento o al semplice relax, come sono, nella tradizione urbanistica dell'occidente industrializzato i parchi urbani, i campi gioco, le passeggiate panoramiche, e oggi gli stessi centri storici chiusi al passaggio veicolare e attrezzati per favorire il comfort e quindi la propensione all'acquisto dei suoi visitatori, sia con la formazione di microambienti, di isole nella città destinate al consumo e al divertimento.
Gli altri ambienti, il cosiddetto tessuto connettivo (nella visione organicistica della città), non sono luoghi né ambienti ma spazi che, in quanto non vocati ad attività diverse alla produzione e al consumo di beni, non ne sono adatti e perciò sono fonte di pericolo. Da questi spazi sono esclusi quanti non esercitano attività produttive o quanti per formazione personale, non interpretano le attività produttive e gli atti a queste connesse come momento autonomo, specifico, delimitato e assoluto rispetto alle altre attività della propria vita. Infatti le strade, i piazzali, i parcheggi, ma anche le vie pedonali e i giardini sono spazi dal significato univoco... finché un bambino non tira un sasso e rompe un vetro (cosa sempre più difficile: neanche i vetri si rompono più).

I bambini, gli anziani, le persone con temperamento artistico o esplorativo o ludico, per passare il proprio tempo libero, cioè il proprio tempo tout court, devono "recarsi lì", cioè compiere un'azione che è tipica dell'attività produttiva a cui sono estranei.
Questa riflessione ci porta a ritenere giusto e opportuno applicare i processi di progettazione e programmazione tipici per gli spazi e le attrezzature per il gioco agli altri elementi della struttura urbana.
In altre parole, nella progettazione urbana è opportuno considerare sia gli usi propri che usi impropri a cui possono essere soggetti gli ambienti e le attrezzature e, fra gli usi impropri, i più rilevanti e pericolosi sono gli usi per attività ludiche.
II pericolo deriva in primo luogo dallo stesso "giocatore"; l'azione ludica infatti è primariamente un'esperienza mentale che crea un mondo altro da quello reale e quindi porta a vivere gli oggetti che rientrano nel campo di gioco come altro da ciò per cui furono originariamente destinati.
A ciò il progettista può reagire in modi diversi:
- creare barriere di protezione che impediscano gli usi impropri;
- prevedere la possibilità di usi impropri e predisporre opportune protezioni;
- predisporre micro ambienti di gioco in luoghi destinati ad altre funzioni anche con lo scopo di distrarre dall'uso improprio di attrezzature altrimenti destinate;
- incoraggiare usi impropri predeterminati e progettare in modo complesso anche a livello di singole attrezzature.
Mentre nelle migliori progettazioni di strutture commerciali i primi tre obiettivi sono usualmente perseguiti, nella progettazione urbana spesso ciò non avviene, salvo casi esemplari
(Zurigo, Modena), in cui anche a livello di progettazione urbana è previsto l'allestimento di ambienti e attrezzature destinate all'infanzia integrati alle attrezzature convenzionali.
L'uso ludico delle attrezzature ad altro destinate invece non è mai accettato e tanto meno incoraggiato, con la conseguenza che si ingaggia una sfida a distanza fra bambini ed esercenti di attrezzature urbane, sfida volta a impedire l'uso ludico di qualunque cosa non sia a ciò esplicitamente destinata.
Le conseguenze della disattenzione nella progettazione e nell'arredo degli ambienti, rispetto agli usi ludici a cui possono essere comunque soggetti, sono, invece, numerose, varie e gravi.
Le fonti di pericolo se le si guarda con l'occhio del bambino o del genitore appaiono immediatamente.
Ad esempio i limitatori di traffico a telaio, oggetto di evoluzioni ginniche di bambini o adolescenti, sono spesso posti in prossimità di cordoli a spigolo vivo.
Le scelte dimensionali che portano alla costruzione di un semplice muretto di separazione, sono fatte indipendentemente dalla previsione che un bambino possa arrampicarvisi, e camminarvi in equilibrio.
I parapetti di scalinate sono progettati in modo da rendere desiderabile ma troppo difficilmente praticabile (dunque rischioso) lo scivolamento.
Gli spazi antistanti le scuole raramente sono di ampiezza tale e dotati di opportune protezioni rispetto al traffico veicolare in modo da consentire la sosta, le corse, le relazioni non normate (e spesso scatenate) a cui i bambini sono inclini al termine delle lezioni.
II controllo dell'adulto, oltre che non essere sempre desiderabile, spesso non è sufficiente e soprattutto, nell'ottica del progettista, non deve essere messo in conto né usato come alibi.
Pertanto, nel progetto urbano è necessario adottare soluzioni al fine, sì di garantire il corretto uso proprio delle attrezzature ma anche di:
- prevenire il rischio di infortuni in caso di inevitabili usi impropri;
- arricchire l'offerta di significati o del potenziale informativo veicolato dall'insieme urbano.
Il potenziale informativo, che differenzia una città grigia e anonima da una città desiderabile e ricca di significati, non si deve all'offerta di soluzioni per l'esercizio di attività di tipo contemplativo o legate al consumo o al comfort degli adulti, ma deve prevedere la possibilità dell'esercizio ludico, a sua volta vero e proprio moltiplicatore di significati.
Al contrario un progettazione integrata e complessa, che prevedeva l'uso ludico degli spazi e delle attrezzature urbane invece è spesso del tutto assente sia nell'ambito commerciale sia nell'ambito degli spazi destinati alla collettività.
Si noti che l'uso ludico di un oggetto è altro dall'uso errato di un oggetto: può essere fonte di rischio maggiore, dal momento che il rientro da una dimensione ludica, per il soggetto che le sta esperendo è molto più complesso e richiede tempi di reazione più lunghi della semplice correzione di un errore.
Riteniamo pertanto necessario che il progettista conosca in modo non solo intuitivo i rischi che sono connessi all'esercizio ludico indipendentemente dal fatto che uno spazio urbano sia destinato o meno ad attività ludiche, anzi, questa considerazione è tanto più necessaria proprio in quei percorsi che sono soggetti all'uso da parte di cittadini inclini all'attività ludica.
Esprimendosi in modo generico e limitato il campo alla fascia d'età che comprende l'infanzia e l'adolescenza, le principali attività ludiche che possono coinvolgere attrezzature e spazi urbani sono:
- osservazione ed esplorazione individuale;
- saggio di abilità motoria e di equilibrio individuale (saltare, scavalcare, camminare sul ciglio,
arrampicarsi, lanciare sassi, oggetti);
- saggio di abilità motoria di coppia o di gruppo (passarsi una palla, un sasso una lattina con i piedi
o con le mani);
- sfida agonistica corsa, lotta, spinte;
- azione ripetitiva estraniante (pestare le righe, contare) ;
- provocare e saggiare le reazioni degli oggetti e delle persone adulte incidere, provocare rumore, infrangere, sporcare e tutto ciò che passa sotto il nome di "vandalismo".
Tutte queste azioni, come è nelle esperienze di ognuno di noi, sono non solo prevedibili ma anche inevitabili. Ciò che si può evitare è che a queste azioni corrisponda un troppo alto livello di incognite.
Le incognite infatti costituiscono per il giocatore un rischio calcolato necessario affinché il gioco non risulti noioso e prevedibile (e quindi non sia esercitato a vantaggio di altri giochi più rischiosi).
Nella progettazione di campi gioco e di strutture per il gioco, infatti la principale attenzione è prestata al bilanciamento della quantità di rischio connesso al gioco stesso: è necessario che:
- la percezione del rischio sia evidente;
- il rischio non procuri eccesso di ansia;
- l'infortunio eventuale sia sopportabile e facilmente rimediabile;
- ci sia sempre la possibilità di sottrarsi al rischio uscendo dalla dimensione ludica;
- il tempo passato sotto stress sia limitato e commisurato all'età e alle caratteristiche dei soggetti che vi si sottopongono.
Perciò anche per i convenzionali elementi di arredo urbano l'elenco delle protezioni da predisporre nella produzione e nell'installazione dovrebbe essere normato da specifiche prescrizioni di capitolato alla stregua di quanto avviene per l'allestimento di campi gioco.
Vale la pena accennare al fatto che le protezioni possono essere:
- attive o passive, cioè corrispondere a impedimenti e controlli oppure ad artifici che limitino i danni o richiamino ad atti di autoprotezione;
- devono essere, dirette a prevenire e limitare non solo infortuni di tipo traumatico, ma devono comprendere la protezione sociale e la protezione biologica da infezioni, che come è noto, sono oggetto di sempre maggiore attenzione da parte degli abitanti delle città.
La presenza delle protezioni deve inoltre essere avvertita distintamente dagli adulti, in modo da limitare la tendenza all'autodifesa che spesso si risolve nell'autoesclusione da esperienze diverse, con conseguente peggioramento della qualità della vita e limitazione delle possibilità e della qualità di esperienze offerte all'infanzia.
In conclusione sembrerebbe pretesa assurda ed eccessiva progettare in modo integrato, prevedendo l'uso ludico degli spazi urbani, quando si pensa che gli stessi campi gioco non hanno quella qualità specifica che dovrebbe distinguerli.
Se è vero infatti che, soprattutto grazie alla spinta di organismi esteri o comunitari, la qualità e la sicurezza delle attrezzature ludiche è migliorata alla produzione (qualità e sicurezza troppo spesso vanificata da installazioni errate o mancata manutenzione periodica), è vero anche che l'allestimento dei campi gioco tiene in scarsissimo conto la qualità e il tipo di esperienze praticabili, l'integrazione con il complesso urbano, le caratteristiche pedologiche del sito, la natura del terreno, le caratteristiche di tutti i fruitori potenziali (accompagnatori, anziani, giovani, persone emarginate).
In una parola i campi gioco troppo spesso mancano di progetto proprio.
Riteniamo tuttavia che pensare ai percorsi e agli spazi urbani prevedendone in modo sistematico gli usi ludici e, in generale, gli usi impropri, possa essere un'ulteriore sintomo di maturazione civile della società oltre che una riconquista della complessità di significati ecologici sottesi in ogni ambiente urbano o naturale a cui la città mercantile e industriale ci ha disabituato.

Tratto da: Cristina Imbrò e Stefano Staro: "Tempi e luoghi dell'attività ludica" intervento alla  III conferenza internazionale "Vivere e camminare in città.andare a scuola", Università di Brescia, Pubblicato dalla Commissione Europea, 1996