Nel numero 1015 du Domus (Luglio -Agosto 2017) il direttore della Rivista, Nicola Di Battista, nel suo editoriale ribadisce un intento, in modo tanto perentorio da apparire sfiduciato e pessimista negli esiti: "è indispensabile e importante per noi sostenere il lavoro che facciamo come architetti con una teoria chiara e ben esplicitata, in maniera da poter essere compresa appieno e diventare la base comune del lavoro, condivisa dal maggior numero di persone possibile". Sostiene cioè che non è tanto importante discutere del risultato del fare architettonico, quanto dei contenuti, della teoria che lo determina, per non ricadere nella "barbarie del capriccio individuale, in grado di rappresentare al massimo solo se stesso e il proprio autore ma niente di più"
Il suo testo trae spunto da una constatazione negativa e cioè che oggi è più semplice perseguire un'architettura come tecnica normata e codificata che produca dei manufatti certificati e rassicuranti, piuttosto che avventurarsi in ambiti culturali che sfuggono alle certezze e coltivano invece maggiormente il dubbio". La teoria pare bandita dall' orizzonte del fare architettonico, permane il culto della tecnica o, caso mai, della creatività che "a ben vedere persegue lo stesso obiettivo: quello di ridurre questa disciplina ad una sola parte di essa, sperando in questa maniera di non dover rispondere per intero alle importanti questioni che le sono proprie e che la sostengono".
E' svanito il senso dell'architettura come espressione di contenuti collettivi, quando invece, per dirla con per dirla con Ortega y Gasset, l'artista e ancor più l'architetto sono un "organo della vita collettiva", anzi, "l'autentico architetto è un intero popolo".
Questo intento editoriale si riflette nei contenuti della rivista: gli articoli su progetti (i cui esiti tecnici ed estetici sono opinabili, quando non discutibili) sono introdotti in questo modo:


Si tratta però tutti esempi di architettura "alta", ma non sufficienti a fornire modelli per l'architettura e l'urbanistica delle nostre città e dei nostri territori. Sono esempi che contraddicono l'assunto esposto nell'editoriale.
Teorie e modelli utili per recuperare una visione positiva, progressista, comunitaria ecologica per la nostra architettura sono ancora di là da venire.